La parola monogatari (物語 – ものがたり) proviene da mono, che significa “cosa” e talvolta “e katari, che significa “narrare”, “riferire”, “raccontare”.
Il termine monogatari era già in uso nell’antico Giappone, ma non per indicare un genere letterario codificato, anche nel periodo Heian in cui questo genere raggiunse la massima fioritura, il termine monogatari più che per indicare racconti scritti era usato soprattutto per designare i fatti quotidiani che i personaggi di corte si narravano l’un l’altro.
In particolare Murasaki Shikibu, autrice del Genji Monogatari, utilizza l’espressione amayo no monogatari (雨夜の物語), “racconti nelle notti di pioggia”, con riferimento agli aneddoti e ai pettegolezzi raccontati fra i cortigiani per passare il tempo nelle giornate piovose. L’autrice per altro fornisce anche una prima definizione del monogatari, inteso come genere letterario.
Che cos’è un monogatari
Non è facile definire il genere del monogatari poiché non esiste un genere corrispondente nella letteratura occidentale, i termini “romanzo” o “racconto”, a ben vedere sono inappropriati per indicare un tipo di narrazione in prosa con elementi in versi, che di fatto non fa parte della tradizione occidentale.
La caratteristica principale di questo genere è un residuo di oralità, infatti, anche se trascritta, la storia sembra essere narrata a voce, il lettore ha una relazione diretta col narratore, quasi come se assistesse al racconto di un cantastorie.
Tale dimensione orale è dovuta probabilmente anche al fatto che i monogatari venivano letti ad alta voce dalle dame di corte, che erano autrici e fruitrici di queste opere, soprattutto fra il X e il XIII secolo, durante cui si calcola una produzione di circa duecento monogatari.
Si ha la sensazione di essere testimoni, proprio come il narratore, dei fatti descritti, poiché chi legge e chi narra appartiene alla stessa dimensione spazio-temporale. Il narratore, infatti, si limita a riferire i fatti, collocandoli in un passato imprecisato, come dimostra l’utilizzo frequente dell’espressione ima wa mukashi, comunemente tradotta come “c’era una volta”.
Il primo trattato critico sul monogatari: il Mumyōzōshi
Nonostante i tentativi di Murasaki di nobilitare il genere del monogatari nel Genji, fino al XIII secolo era considerato un genere minore , certamente non gli viene riconosciuta pari dignità della poesia.
Nel XIII secolo però il monogatari viene rivalutato nel Mumyōzōshi che lo definisce come un insieme di
itsuwari soragoto ossia eventi fittizi e falsità
aru koto eventi reali
Del resto la stessa Murasaki aveva cercato di nobilitare il suo Genji Monogatari, sostenendo, facendo riferimento al nucleo teorico del Kanajo, che il monogatari esprimeva una realtà emozionale con valenza universale e in quanto tale non poteva essere ritenuto un insieme di fandonie.
Anche il critico Konishi ha analizzato la narrativa giapponese in base al contenuto di eventi più o meno fittizi, come risulta dalla tabella sotto proposta.